Logo NicoMarin

Autori




ANONIMO MERIDIONALE


Un manoscritto contenente due diversi ricettari, oggi conservato alla collezione B.IN.G. di Sorengo, è comunemente noto con il nome di Anonimo meridionale, conferitogli da Ingemar Boström che lo ha edito, per i suoi evidenti meridionalismi (in particolare napoletani) nella lingua. Redatto alla fine del XIV secolo o all'inizio del XV, il manoscritto è diviso in due libri frammentari alquanto diversi tra loro. Il Libro A contiene 164 ricette alcune delle quali scritte in latino e fa parte, anche se molte ricette sono state soppresse e altre aggiornate e trasformate, di un folto gruppo di ricettari che testimoniano il grande successo che questa tradizione ebbe in Italia nel tardo medioevo. La tradizione viene denominata dei "12 Ghiotti" perchè viene fatta risalire alla "Brigata spendereccia" di Siena, composta da dodici ricchi aristocratici ricordati anche da alcuni commentatori di Dante. Il Libro A e il gruppo di testi che formano la tradizione dei "12 Ghiotti" (i frammenti editi da Morpurgo e Guerrini, i "quaderni" di Nizza editi da Rebora, il Libro per cuoco edito da Frati ecc.) sono caratterizzati dalla presenza di ricette dosate appunto per dodici commensali ma nessuno di essi, anche se continueranno ad essere successivamente ricopiati in alcuni manoscritti, avrà più successo dalla fine del XV secolo e non verranno mai stampati: la tipografia in Italia utilizzerà un nuovo testo, quello di Martino Rossi. Il Libro B invece, contenente 65 ricette, risale in parte a una tradizione diversa: soprattutto le ultime nove ricette, con precise indicazioni delle dosi, non hanno riscontro in altri ricettari e emanano un forte richiamo del mondo arabo.


JOHANNES BOCKENHEIM


Tedesco, chierico, grazie alla sua attività di cuoco del personale della curia papale a Roma al tempo di Martino V, Johannes de Buckenheim (dal nome del piccolo borgo di nascita vicino a Worms) fece una discreta carriera ecclesiastica ottenendo numerosi benefici nelle diocesi di Worms e di Mayence. Del suo Registrum coquine, composto tra il 1431 e il 1435, sono noti due manoscritti, conservati alla Biblioteca nazionale di Parigi e in collezione privata a Londra. Il trattato, scritto in latino e contenente 74 ricette, fornisce indicazioni abbastanza sommarie sulla realizzazione dei piatti e doveva quindi essere un libro personale, per proprio uso. La tradizione culinaria che se ne ricava è relativamente arcaica, ancora caratterizzata dallo scarso uso di zucchero ad esempio, che proprio in quel secolo si stava diffondendo. La sua originalità è tuttavia data dalla costante indicazione della destinazione dei piatti, certo comprensibile in una tavola internazionale com'era sicuramente la mensa della curia papale. Le ricette terminano infatti sempre con un consiglio: et erit bonum pro (ottimo per) tedeschi, italiani, svedesi...; ma anche per categorie sociali: baroni, nobili, re, poveri, prostitute.


MARTINO ROSSI


Conosciuto fino a pochi anni fa come Maestro Martino, cuoco del camerlengo e patriarca d'Aquileia Ludovico Trevisan a Roma, perchè così si definisce in due dei quattro manoscritti noti del suo Libro de arte coquinaria, oppure noto come Martino da Como, perchè così qualificato da Platina nel De honesta voluptate et valetudine, è possibile oggi dargli un nome preciso grazie a un manoscritto del suo trattato, conservato a Riva del Garda, dove è chiamato Martino de Rubeis, e tracciare con più precisione la sua vita. Nato in località Torre della valle di Blenio, oggi nel Canton Ticino, nel secondo o terzo decennio del '400, ottiene nel 1442 la rettoria di un ospizio situato nelle vicinanze. Nel 1457 è a Milano, cuoco di Francesco Sforza. In seguito è a Roma al servizio del Patriarca di Aquileia Ludovico Trevisan e a Milano presso Gian Giacomo Trivulzio. Il testo di Martino Rossi è di grande importanza per la cucina europea, non solo per la precisione e la razionalizzazione delle ricette presentate, ma soprattutto per la vasta diffusione che la sua opera ha avuto, inserita da Platina nel suo trattato edito in latino nel 1475 e quindi pubblicata in italiano, francese, inglese fino al '700, anche in brevi libretti con il titolo di Epulario e sotto il nome di Giovanni Rosselli.


CRISTOFORO MESSISBUGO


A differenza di Martino Rossi e di buona parte degli autori di ricettari culinari medievali e rinascimentali, Cristoforo Messisbugo, attivo come scalco e provveditore ducale alla corte Estense di Ferrara dai primi decenni del '500, sposato con la nobile ferrarese Agnese di Giovanni Gioccoli e morto nel 1548, non era un cuoco professionista ma l'economo dispensiere che controllava anche finanziariamente l'attività della corte. Il suo trattato intitolato Banchetti, composizioni di vivande e apparecchio generale, pubblicato postumo un anno dopo la sua morte, è infatti diverso dai precedenti: la prima delle tre parti è un elenco delle cose necessarie all'organizzazione dei banchetti, dai vari alimenti alle pentole e attrezzi; nella seconda parte compare per la prima volta (se si esclude un manoscritto inedito napoletano conservato a New York) la descrizione delle portate di undici cene, tre desinari e una festa organizzati a corte tra il 1529 e il 1548; nell'ultima parte infine vi sono 323 ricette raggruppate in sei paragrafi (paste, torte, minestre, salse, brodi, latticini), suddivisione che avrà largo seguito in Italia e verrà adottata ad esempio da Romoli (1560), Scappi (1570) e Stefani (1662).